“LA PIADINA” (tratto dal libro di Paola Giovannini: “Sagre, Fiere e mercati nella Romagna di fine novecento” società editrice Il Ponte Vecchio

Ed ecco l’incisivo affresco del Pascoli da alcuni versi della lirica “Desinare “(Piada nella prima edizione)“: “sul taglier pulito /  lo staccio balzellò rumoreggiando. / Il bianco fiore ella ammucchio: col dito / aperse il mucchio, e vi gettava il sale / e tiepid’ acqua dal paiolo avido./ Poi ch’ ebbe intriso rimestò l’uguale / pasta e poi la partì: staccò dal muro / il matterello, strinse il grembiale; / e ‘le spianate’ assottigliò col duro / legno, rotondo, a una a una: e presto / sì le portava al focolare oscuro / . Via via la madre le ponea nel testo / sopra gli accesi tutoli: e su quello / le rigirava con un lento gesto: / né cessava  il rullio del mattarello “.

La nostra piada, un tempo il cibo principale dei contadini, ha origini antichissime, addirittura preromane. A. Sassi ricorda che “è stato molto probabilmente la prima rozza pietanza dell’uomo, quando l’uso del pane lievitato non ancora era entrato a far parte principale del di lui nutrimento”. Si tratta appunto di quel panis testicius (pane da testo) da cui parla Catone nel “De re Rustica”, duecento anni prima di Cristo.

La piada viene ricordata anche da Virgilio nel VII dell’Eneide. Enea e gli altri profughi Troiani, sbarcati sul suolo italico, in Lazio, si gettarono famelici sul rustico pane rotondo. “Consuptis hic forte alias ut vertere morsus /esigua in cererem penuria adegit ebendi edendi / et violare manu malisque andacibus orbene / fatalis crusti patulis nec parcere quadris “(Eneide, VII,112-115). In una comunicazione all’associazione forlivese “E. Racoz” Antonio Dionini ha osservato che “l’impasto di farina, acqua e sale (con lievito o senza) cotto su una lastra di pietra arenaria rovente o su un piano di terracotta” –   noto in Romagna con i nomi di piè, pii, pida, pièda – corrisponde “all’antichissimo pane azzimo, assottigliato a forma tondeggiante, che quasi tutti i popoli dell’antichità conobbero“. “Di facile e sbrigativa confezione, ha il potere nutritivo del pane e può essere preparato in condizioni di precarietà: è di lunga conservazione e di gusto gradevole. E’ presumibile che la larga diffusione di tale impasto antico derivasse dalla rapidità delle operazioni rese possibili anche durante breve soste del viaggio”.

Come osserva poi Anselmo Calvetti in un articolo sulla rivista “La Pié” i rilievi del Dionini consentono di mettere in relazione la tradizione della piada con l’attività, nomade o seminomade, degli allevatori di armenti nelle colline e nelle valli palustri della Romagna. Il “testo” di terracotta il treppiede su cui poggia si possono trasportare agevolmente; le braci di un falò bastano per cuocere la piada. La spiegazione “sociologica” non giustifica tuttavia la vasta e persistente popolarità della piada in tutta la Romagna, ivi compresa quell’ampia fascia lungo la via Emilia che fu colonizzata oltre duemila anni fa con stabili insediamenti abitativi, dotati di forni per la cottura del pane. È necessario quindi fare appello anche al conservatorismo popolare, rilevabile per molti aspetti tra i romagnoli…“

 Come si confeziona: Alla penna di Spallicci il compito di insegnare come si confezionava questo cibo che il Pascoli nei “nuovi Poemetti” definì “Azimo santo e povero dei mesti / agricoltori, il pane del passaggio / tu sei, che s’ accompagna  all’ erbe agresti“. “Un chilo di farina, non troppo setacciata, e quindi non molto fine, un pizzico di bicarbonato di sodio (cinque grammi in tutto), circa 100 g di strutto e sale quanto basta. Si aggiunge acqua calda per fare un impasto che vuole essere piuttosto consistente”. “Si distende poi col mattarello sulla spianatoia sino a farne una bella luna rotonda e sottile e la si pone sul testo di terracotta o su un foglio di pietra arenaria appoggiato sul treppiedi e sotto cui deve ardere una bella fiamma di sarmenti e di foglie secche perché la cultura deve avvenire molto rapidamente”. “Durante la rosatura, mentre affiorano le bollicine sulla pasta, si rivolta e si rivolta più volte la rotonda focaccia e si imprimono qua e là le impronte della forchetta, che rimangono come ornamento screziato della piada. E, quando l’”odore del pane empie la casa “si toglie ancora ardente dal testo, si taglia a croce e le quattro quadre si allineano in piedi sopra il mantile disteso sulla cornice della spianatoia“. “Mezzo bruciacchiata e ancora calda, essa è un buon boccone, se c’è un formaggio fresco e burroso che faccia da companatico. Fra due quadre si strizza lo squaquerone, che fugge ai margini, come una bianca spuma“.

 

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