A proposito del fatto di Verucchio firmato Marco Mazzuoli. Mi piacerebbe pensare che quel giovane egiziano ucciso con cinque colpi di pistola da un capitano dei carabinieri, non so a che distanza, ma mi viene da pensare abbastanza ravvicinata visto il pericolo che correva il capitano di essere colpito, a proposito mi dicono che fosse anche istruttore di tiro; mi piacerebbe pensare che in cuore suo, quel ragazzo, non volesse uccidere. Quel giorno, e nei giorni precedenti, era in uno stato alterato dovuto in primis ad abuso di psicofarmaci e poi anche da una sorta di malessere interiore che gli faceva pensare di voler tornare al suo paese, soprattutto dai suoi genitori, fratelli, parenti. Evidentemente un carattere fragile. Mentre, noi italiani, pensiamo “cosa voleva di più“. Aveva lo status di rifugiato che per legge comporta il fatto che lo Stato italiano gli trovi un lavoro, un tetto dove dormire e assistenze varie. È vero! Cosa gli mancava? Eppure qualcosa gli mancava e forse quello che cercava pensava di non poterlo mai raggiungere: la sua terra di origine l’Egitto. Forse l’avrebbero arrestato. Quindi non poter avere un conforto di un familiare. In momenti e situazione come questi era fondamentale avere un familiare vicino. Forse era depresso ad uno stadio avanzato e quando ci si trova in quelle condizioni si rischia di fare molto male a se stessi o molto male a chi capita. Mi piace pensare che lui, in realtà con quel coltello non volesse uccidere nessuno, ma poteva capitare. Che quei colpi di disperazione non erano indirizzati per uccidere, anche se poteva succedere, ma per “dichiarare“ a tutti il suo malessere. Come dire “hei sto male aiutatemi“ non era in lui. Non si deve richiamare attenzione per disperazione, colpendo persone a caso come ha fatto lui. Mi dispiace pensare che attorno a questi ragazzi scappati dalla guerra, dalle malattie, dalla fame sono considerati come persone “cattive“ e etichettate dai mezzi di informazione, facendo di tutto un erba, un fascio, come stupratori o perlomeno potenziale stupratori. Sono capi espiatori per contrastare i nostri stati d’animo frustati da una società che, quotidianamente, non ci fa vivere sereni.
Noi italiani li guardiamo in “cagnesco” a prescindere e ormai siamo talmente abituati a considerarli come esseri umani di serie B che se muoiono in mare nel nostro cuore diciamo “colpa loro“. Ecco il problema il nostro singolo cuore non è più come una volta e oggi quando vogliamo dimostrare che amiamo lo disegniamo. Ma è un abuso ormai. Ecco che il cerchio si chiude con un morto di 23 anni che a me piace pensare era nato senza quella scorza che hanno i forti, che hanno i duri. Era un debole. Si la sua colpa era di essere un debole perché se sei debole nella società di oggi sei un uomo morto spiritualmente ma a volte anche fisicamente.“Chissà se in quei momenti dopo i primi colpi sparati a terra, hai avuto un sussulto, sei tornato cosciente, e in quel momento preciso hai preso una decisione, hai pensato “non ne vale la pena“. E così da uomo debole per la prima volta sei diventato uomo forte. Sei andato avanti, nonostante che un primo e un secondo colpo ti avesse centrato. Ma avevi ancora forza, forza di andare avanti “volevi essere sicuro“. E così il terzo, il quarto e infine il quinto colpo, quello decisivo forse alla testa. Cadi e mentre cadi , nessuno ti vede ma fai un sorriso e chiudi gli occhi”.